Dal primo dopoguerra al fascismo - ANA Gruppo Alpini di Novara

IL CUORE PER AMARE E LE BRACCIA PER LAVORARE
GLI ALPINI ARRIVANO A PIEDI LA DOVE GIUNGE SOLTANTO LA FEDE ALATA
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La riorganizzazione del Corpo Alpini
Dei sessantuno battaglioni Alpini esistenti nel novembre 1918, ne furono sciolti più della metà e alla fine del 1919 gli otto reggimenti avevano ripreso quasi per intero la fisionomia del 1914.
Dopo la vittoria del 1918, gli Alpini furono inviati in Albania, nel 1919, per stroncare una ribellione contro le truppe alleate occupanti.
Già l'anno successivo alla fine del conflitto gli alpini reduci costituirono l'8 luglio 1919 l'Associazione Nazionale Alpini (ANA) a Milano, presso la sede dell'Associazione geometri, che ebbe come primo presidente l'alpino Daniele Crespi. Nel settembre del 1920 l'ANA organizzò la prima adunata nazionale sul monte Ortigara, che tre anni prima fu teatro di violentissimi scontri che videro cadere circa 24.000 uomini di cui molti alpini, e da quel primo appuntamento ne seguirono altri venti fino al giugno 1940, a Torino, quando lo scoppio del secondo conflitto mondiale sospese per sette anni la manifestazione.
Intanto il paese nell'immediato dopoguerra fu caratterizzato da un periodo di forti tensioni sociali alimentate dalle condizioni di quella parte del popolo che per decenni era stata ai margini della vita nazionale ed ora rivendicava un ruolo primario, forte dei sacrifici patiti in guerra. Le esigenze di ordine pubblico, legate alle oggettive difficoltà strutturali e logistiche di un paese devastato nell'economia, resero la smobilitazione un'operazione lunga e complicata e fecero sì che fosse mantenuta in armi una forza di circa 300.000 uomini, abbastanza da tenere in vita reparti teoricamente soppressi sulla carta.
Con l'avvento del fascismo ci furono dei primi ordinamenti atti alla riorganizzazione dell'esercito e delle unità alpine. Negli anni trenta la difesa dei confini alpini fu affidata alla Regia Guardia di finanza, ai carabinieri reali, alla Milizia confinaria e a reparti alpini ai quali fu dato anche il compito di presidiare le nuove opere difensive della fortificazione permanente, allora in corso di progettazione e costruzione lungo il confine montano italiano, da Ventimiglia all'Istria.
Questo impiego per le truppe alpine era in contrasto con le dottrine di quel tempo che prevedevano l'utilizzo delle grandi unità Alpine ovunque la necessità lo richiedesse, essendo le stesse truppe idonee a svolgere azioni di carattere dinamico e non milizie destinate alla difesa di punti fissi. Con il regio decreto legge n. 833 del 28 aprile 1937 fu ufficialmente istituito un Corpo speciale che aveva il compito di vigilare in permanenza sulla linea fortificata di tutto il confine italiano, denominato Guardia alla frontiera (GaF), comprendente reparti di fanteria, artiglieria, genio e servizi La Guardia alla frontiera venne quindi impiegata per la difesa dei confini nazionali mentre per gli Alpini fu previsto l'impiego in ogni luogo richiesto dalle esigenze militari, anche in azioni offensive e al di fuori del teatro alpino.
A tale scopo nel 1934 furono costituite le divisioni Alpine "Taurinense", "Tridentina", "Julia" e "Cuneense", cui si aggiunse la "Pusteria" nel 1935.
A queste unità si aggiungevano cinque battaglioni misti del genio (che allora comprendeva anche le trasmissioni), il battaglione "Duca degli Abruzzi" (aggregato alla Scuola centrale militare di alpinismo) e il battaglione "Uork Amba", in totale 31 battaglioni, 93 compagnie, 10 gruppi d'artiglieria alpina e 30 batterie, articolati su cinque comandi divisionali. Ogni divisione aveva in organico anche unità del genio militare e dei servizi logistici.
Nacquero così i supporti delle truppe alpine, che si affiancarono agli alpini e all'artiglieria da montagna.
L'utilizzo degli Alpini in tempo di pace
Ma gli Alpini in tempo di pace si distinsero anche in ruoli diversi da quelli del soldato. Nel 1928, il dirigibile Italia sorvolò il Polo Nord e al ritorno, il 25 maggio entrò in una tremenda tempesta che gli fece perdere quota fino a schiantarsi sul pack artico, dove la gondola di comando rimase distrutta nell'impatto e dieci uomini furono sbalzati sui ghiacci, mentre i restanti sei membri dell'equipaggio rimasero a bordo dell'involucro.
Di loro e del dirigibile non si seppe più nulla, tra i dieci ci fu anche il generale Nobile, che riuscì ad inviare un primo messaggio di SOS. I primi soccorritori furono gli Alpini della spedizione con a capo l'alpino ufficiale Gennaro Sora che comandava una squadra formata oltre che dal Sora, dagli alpini caporali Giulio Bich, Silvio Pedrotti, Beniamino Pelissier, sergenti maggiori Giovanni Gualdi, Giuseppe Sandrini, Angelo Casari, Giulio Deriad e Giulio Guédoz, che il 18 giugno 1928 partì verso il Polo alla ricerca di Umberto Nobile e del suo equipaggio.
La spedizione di Sora però non ebbe successo e i soccorritori diventarono naufraghi. Sora e gli altri furono individuati da tre velivoli svedesi il 12 luglio, e nonostante alla fine Nobile fu tratto in salvo dalla rompighiaccio sovietica Krassin, Sora passò alla storia per le sue gesta eroiche compiute per oltre un mese alla ricerca di Nobile in condizioni estreme.
Fu nel 1931 che iniziarono le prime competizioni sciistiche per le truppe alpine, oggi conosciute come Ca.STA (Campionati Sciistici delle Truppe Alpine) Nel 1934 venne costituita ad Aosta la Scuola militare centrale di alpinismo, per provvedere all'addestramento sci-alpinistico dei quadri delle truppe alpine. La scuola diverrà ben presto un polo di eccellenza in campo sportivo e sci-alpinistico, tanto da essere considerata "università della montagna".
Lo sviluppo dell'armamento
Lo sviluppo dell'armamento degli alpini nel corso del ventennio 1919-'39 fu limitato essenzialmente alle sole mitragliatrici e alle armi a tiro curvo. Nel primo caso si trattava di realizzare un'arma automatica per il tiro collettivo che fosse più leggera e mobile della mitragliatrice pesante Fiat Mod. 14 che era più adatta come arma di posizione. Dopo varie sperimentazioni fu sviluppata la leggera Breda Mod. 30 che divenne l'arma delle squadre fucilieri Alpine. In linea con le necessità della guerra in montagna furono sviluppati due nuovi mortai, il Brixia Mod. 35 da 45 mm e quello da 81 mm. La scarsa attenzione che le forze armate diedero allo sviluppo di nuove armi, soprattutto al carro armato e alle armi controcarro, fece sì che il solo cannone atto a fermare le truppe corazzate, il 47/32 Mod. 1935, fu assegnato solo a tre divisioni alpine (Cuneense, Tridentina e Julia) con conseguenti gravi carenze di fronte al massiccio impiego di mezzi corazzati negli altri eserciti.
La guerra d'Etiopia e la campagna d'Albania
Gli anni 1935/36 videro gli alpini ancora impegnati in Africa e precisamente in Etiopia, dopo lo sbarco a Massaua gli alpini della 5a Divisione alpina "Pusteria", formata da 14.000 uomini, parteciparono alle operazioni di guerra, con le battaglie di Amba Aradam e dell'Amba Alagi.
Il 31 marzo ci fu la battaglia finale di Mai Ceu, dove le truppe di Hailé Selassié furono costrette a ripiegare e per l'imperatore di Etiopia fu la sconfitta. Per la colonna italiana formata da mille automezzi la strada verso Addis Abeba era spianata, e la "Pusteria", con sole 220 perdite, rientrò nell'aprile del 1937.
Dopo le operazioni in Albania durante la Grande Guerra, meno di vent'anni dopo gli alpini sbarcarono di nuovo sulle coste di Durazzo e Valona il 7 aprile 1939 per volere del Duce, che volle riequilibrare la mossa dell'alleato tedesco in Austria di pochi mesi prima.
Fu una spedizione all'insegna della disorganizzazione, tanto che gli stessi muli imbarcati senza basto, finimenti e cavezza al momento dello sbarco cominciarono a scappare dal porto invadendo le strade di Durazzo. Nella città gli alpini rimasero un paio di settimane, poi si sparpagliarono nel paese attraverso le montagne che sono raggiungibili grazie alle strade costruite in quell'occasione dal genio militare.
L'estate fu particolarmente calda e l'inverno particolarmente rigido, le perdite per malaria raggiunsero il 30% degli effettivi, e gli alpini dovettero anche subire l'umiliazione delle leggi razziali fasciste che nel giugno 1940 imposero ai reparti l'allontanamento degli ufficiali e dei soldati di origine slava e non solo quelli provenienti dalle zone annesse nella guerra del '15/'18, ma anche dalle terre incorporate settant'anni prima. Solo le forti proteste del generale Sebastiano Visconti Prasca impedirono alla Divisione Julia di essere seriamente indebolita da tale provvedimento.
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